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99 POSSE “Curre curre guagliò”

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99 POSSE “Curre curre guagliò” (BMG)
Ridondanza di uscite chimeriche, da un Destino patriarcale rappato con la trasparenza di un’ironia che non sa più a quale santo votarsi. Una massa di scoglionamenti punita relegandola ad una panoramica estremizzata non per proprio volere fra indelebili segni migratori lasciati sulla pelle dei soliti ignoti, col senso del dovere influenzato da uno stato di palese autoreferenzialità occupato da tenebre dittatoriali.

Funky amministrato sognando di aggredire le coscienze di un essere superiore solo ai suoi complessi d’inferiorità, per dichiarazioni ideologiche e incolori elevate al pesante potere di una libertà d’espressione che si percepisce nelle sonorità, dure come muri d’abbattere, di appiglio frequentemente elettronico e di reflusso squisitamente reggae, che pavimentano il moto ondoso dell’Anima, ribelle e simpatica per dialettica scurrile solo se non riesci a comprendere chi sei davvero tra le news conformi alle protezioni asociali, allargatesi al tempo che non si evolve, e che resta sentito dire per una versione tribale che rompa gli argini e induca così a vagare in un deserto etico da filmare senza esitazioni, con quella voce fresca dietro alla quale si cela la realtà precipitata nella compostezza dei cattivi maestri di un’atmosfera che non muta, sancendo fertilità pregressa, obiettiva, perdurando sui temi caldamente universali, sfregiati dalla cronaca fatta con quel formalismo che ti stacca dalle origini del peccato di vivere il percorso classista, tracciato utilizzando pure il blues, che si rivela in questo lavoro fintamente longilineo. Un messaggio d’avanzare colma il vuoto del vanto terreno al massimo della sua facilità di guida, che fa divertire fino ad esplodere come cordoglio nel corso di un principio d’autonomia umanitaria. Verdetti plastificati portano appresso i controlli su un territorio impreparato per scavalcare una cosa riconducibile alle armi di guerra, idee da sposare, d’individui da segnare di proposito con capacità morali trasferibili ripartendo da zero, ossia dalle teorie in maniera di acquisizione del Dolore. Per non puzzare inevitabilmente di terrore si fa un pensiero come passanti, ci contiamo sulle dita di una mano, in uno scatto di dignità. Per competenza dialettica il piacere di cambiare aria non ha luoghi per fantasticare, e tieni velocemente la parola nell’ordinaria condizione d’ordinanza, come il vestito attaccato alla pelle e tutto il resto a cascata, argomenti da portare in trasmissione, agli uomini senza pudore che disattivano un sistema operativo per strafare con riserva, giudicandosi come parte pertinente al Destino, quel lusso di piantarsi in asso e divenire autori di una Vita, di un sentimento da immaginare sulla base d’incarichi e nominativi di commercio a richiamare l’orgoglio civile livellabile nell’interesse rivolto ad un’imposizione elettiva che non ci tocca, né migliora la proiettività. Per non sembrare sempre quelli dell’emergenza si ha l’ardire di cantare a priori la concezione dell’essere alieno cogli estremi per una denuncia autorevole, spettacolarizzabile tra la vita e la morte come ad occuparsi comunque di problemi reali senza il divieto di sfumare. Non essendoci lo spazio per la qualità di un prodotto di grande sostanza si interviene con altrettanta violenza per avere delle umili origini in più giocate d’affanni, nel pieno di una cattiva amministrazione più o meno locale, che costa l’ingegnosità urbana, negata all’impaziente ripresa di un aiuto peccaminoso per non risultare appiccicosi come i bulli sulla strada che interpretano alla perfezione l’ufficiosità degli eventi.

Voto: 8+/10

Vincenzo Calò

Tags: italia, recensioni, musica, antifascismo, resistenza

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